Garibaldi marinaio
Nel 1827 salpò da Nizza con la Cortese per il mar Nero, ma il bastimento venne fermato dai pirati turchi. La nave venne depredata e furono rubati i vestiti ai marinai; comunque il viaggio continuò. Nell’agosto del 1828 dalla Cortese sbarcò a Costantinopoli, dove sarebbe rimasto fino al 1832 a causa della guerra turco-russa. Qui si integrò nella comunità genovese nel quartiere di Galata (Pera), e si guadagnò da vivere insegnando italiano, francese e matematica. Nel Febbraio del 1832 gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe, subito dopo si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero. Ancora una volta la nave fu presa di mira dai pirati, ma questa volta l’equipaggio li accolse a fucilate. Garibaldi fu ferito ad una mano, ma si sarebbe ricordato questa scaramuccia come il suo primo combattimento. Dopo 73 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma subito, nel marzo 1833 ripartì per Costantinopoli. All’equipaggio si aggiunsero tredici passeggeri francesi seguaci di Henri de Saint-Simon. Il loro capo era Emile Barrault, un professore di retorica che espose le idee sansimoniane all’equipaggio.Garibaldi, allora ventiseienne, si fece molto influenzare dalle sue parole che lo convinsero che nel mondo c’era un grande fremito di libertà. Lo colpì questa affermazione: «che l’uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta l’umanità per patria e va ad offrire la sua spada ed il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia è più di un soldato: è un eroe». Poi lasciarono i francesi a Costantinopoli e la nave procedette per Tganrog. Qui in una locanda, mentre si discuteva, un uomo detto il Credente espose le idee mazziniane. A Giuseppe le tesi di Giuseppe Mazzini sembravano la diretta conseguenza delle idee di Barrault, nella lotta per l’Unità d’Italia, momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie riguardo a questo evento scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell’America, come ne provai io al ritrovare chi s’occupasse della redenzione patria».La tradizione vuole che Giuseppe Garibaldi abbia incontrato Giuseppe Mazzini nel 1833 e che si sia iscritto subito alla Giovine Italia, fondata da Mazzini. Ma questo è un falso storico: Garibaldi vi entrò solo un anno dopo. Però, sospinto dall’impegno politico, entrò nella Marina Sabauda per fare propaganda rivoluzionaria. Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto, un eroe tebano, fratello gemello di Pelopida che combatté con Epaminonda contro Sparta. Insieme all’amico Edoardo Mutru cercò a bordo e a terra di fare proseliti alla causa, esponendosi con leggerezza. Infatti i due furono segnalati alla polizia e sorvegliati, e per questo vengono trasferiti sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il Brasile. Nel frattempo si era stabilito che l’11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un’insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con gli organi mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l’allerta di esercito e polizia fanno fallire il moto. Il nizzardo non ritornò a bordo della Conte de Geneys, divenendo in pratica un disertore, e questa latitanza venne considerata come un’ammissione di colpa. Indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato. Garibaldi divenne così un “bandito”: si rifugiò prima a Nizza e poi varcò il confine giungendo a Marsiglia, ospite dell’amico Giuseppe Pares. Per non destare sospetti assunse il nome fittizio di Joseph Pane e a luglio si imbarcò alla volta del Mar Nero, mentre nel marzo del 1835 fu in Tunisia. Il nizzardo rimane in contatto con l’associazione mazziniana tramite Luigi Cannessa e nel giugno 1835 viene iniziato alla Giovine Europa, prendendo come nome di battaglia “Borrel” in ricordo di Joseph Borrel, martire della causa rivoluzionaria. Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con l’intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L’8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier. L’eroe dei due mondi in rotta lungo le coste del Cile (1851 – 1853)Nell’estate del 1849, dopo lo sfortunato epilogo della Repubblica Romana, un’avventurosa fuga attraverso l’Umbria e le Marche portò Giuseppe Garibaldi ed i resti della Legione Italiana nelle paludi di Comacchio. Qui, il 4 agosto del medesimo anno, trovò morte la compagna Anita, la quale, sebbene in attesa di un figlio, aveva voluto seguire l'”Eroe dei due mondi” nell’ennesimo cimento di guerra. Scampato alla cattura da parte degli austriaci, da Ravenna , Garibaldi riuscii a raggiungere Portovenere ed infine Chiavari, ove agli inizi di settembre fu arrestato dai carabinieri piemontesi e condotto a Genova.Liberato dopo alcuni giorni di detenzione grazie alle numerose proteste di parlamentai sardi, il condottiero s’imbarcò su di una nave a vapore con la quale avrebbe dovuto raggiungere Tunisi, il luogo che egli stesso aveva scelto per il suo secondo esilio. Durante il viaggio, Garibaldi riuscì a sostare per qualche ora a Nizza, il tempo necessario per riabbracciare la madre ed i figli. Rifiutandogli lo sbarco a Tunisi per motivi politici, Garibaldi iniziò a peregrinare per il Mediterraneo, sostando dapprima alla Maddalena, poi a Tangeri e a Gibilterra. Varcate le colonne d’Ercole, Garibaldi approdò a Liverpool ed, infine, si diresse in America del Nord ove giunse nell’aprile 1850. Nell’aprile dell’anno seguente dopo aver trascorso qualche tempo a New York, ospite dell’amico Antonio Meucci (l’inventore del telefono), utilizzando il nome di Giuseppe Pane (già adottato nel lontano 1834), Garibaldi seguì l’amico Francesco Carpaneto dapprima in America Centrale e poi in quella Meridionale, peraltro già teatro delle sue imprese giovanili, stabilendosi inizialmente a Lima. Qui fu accolto a braccia aperte dalla “ricca e generosa colonia Italiana”, come egli steso ricordò nelle sue Memorie, nel contesto delle quali scrisse: “Quando io penso alle nostre colonie Italiane dell’America meridionale, è veramente da andarne superbi. Quei nostri conterranei sulla terra libera di quelle Repubbliche mi sembrano valer più assai che nelle nostre contrade”. Ed è proprio in questi affascinati angoli del pianete che Garibaldi, abbandonati – per un momento – i panni del condottiero, “riprese” quelli di capitano di una nave (più precisamente un cargo mercantile), con la quale compì numerosi e lunghi viaggi intercontinentali. Fu proprio a Lima dunque che, sul finire del 1851, Garibaldi conobbe l’imprenditore Pietro Denegri, appartenente ad una facoltosa famiglia italiana originaria di Chiavari (secondo altri di Nizza) stabilitesi n Perù per affari. Il Denegri, infatti, gli affidò il comando della nave Carmen, un clipper mercantile da 400 tonnellate ancorato al Callao (il porto di Lima), destinata ad operare il commercio con la Cina. I viaggi per la Cina iniziarono il 10 gennaio 1852, data della partenza da Callao per Canton, ed ebbero come scopo principale il trasporto di guano, un fertilizzante naturale di cui sia il Perù che il Cile erano già allora i principali esportatori. In più occasioni, al rientro in Perù, Garibaldi sbarcò al Callao molti emigrati cinesi, le cui colonie già allora erano ben impiantate sia nel Nord che nel Sud dell’America. Di tale attività fu testimone lo stesso armatore Pietro Denegri. Nel 1865, incontrando a Lima il noto scrittore Vittorio Vecchi (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Jack La Bolina), ricordando la figura di Garibaldi, l’armatore disse: “Don Victor, non ho mai avuto un capitano simile e che tanto poco mi spendesse (.) M’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcato e tutti grassi ed in buona salute, perché li trattava come uomini e non come bestie”. Per regione climatiche, i viaggi per la Cina (e per l’Asia in generale) furono spesso alternati ad altrettante missioni che potremmo definire “a breve raggio d’azione”. Alcune di queste missioni ebbero luogo a partire dell’estate dello stesso 1852, allorquando Garibaldi, al ritorno da Canton, ripartì “in zavorra” (in gergo marinaro equivale a “senza carico utile”) alla volta di Valparaiso, in Cile. Qui la Carmen fu noleggiate per alcuni viaggi commerciale per contro del governo cileno, proprio in quel momento impegnato un vasto programma di interscambi commerciali con l’Europa ed il Nord America.Essendo quelli gli anni della Presidenza di Manuel Montt (1851-1861), un periodo felice per il Cile, essendo caratterizzato da un processo di profondo rinnovamento sociale ed economico, tanto da far guadagnare a quel Paese l’appellativo di “la Prussia dell’America del Sud”. La Carmen fu dunque adibita al trasporto di rame, una delle principali risorse minerarie del Cile, e per questo toccò i porti di Coquimbo e di Huasco, già allora considerati come i principali poli minerari del paese. Per diversi mesi, Valparaiso e gli altri porti cileni, grazie soprattutto all’ospitalità degli abitanti, rappresentarono per il Garibaldi marinaio i “luoghi del riscatto”: I luoghi ove il grande condottiero ritrovò nuovamente se stesso dopo la perdita della cara mamma avvenuta il 19 marzo (sempre dell’52) mentre esule navigava nell’Oceano Indiano. Nella bella Valparaiso, già allora considerata la più grande città marittima e mercantile del Cile, Garibaldi ritrovò anche la Patria lontana, grazie a quel “Consistente lembo d’Italia” sorto attorno alla primitiva colonia ligure sbarcatavi verso la fine del ‘700. In quella fatidica estate del ’52 quando il capitano Francesco Pane sbarcò a Valparaiso tutti gli italiani gli corsero incontro avendo riconosciuto in lui il grande Giuseppe Garibaldi. Come ricordano le cronache del tempo: “non si contentarono degli evviva, ma gli offrirono una magnifica bandiera che poi lo seguí oltre l’Atlantico e sventolò a Quarto, a Palermo,e d al Volturno”. In realtà, la “bandiera degli italiani” fu donata a Garibaldi dalle donne italiane di Valparaiso e fatta recapitare a Caprera sono nel 1855. Il vessillo fu lo stesso che nella primavera del 1860, affidato inizialmente all’alfiere Giuseppe Campo della gloriosa 7 compagnia, guidò i Mille sin dalla partenza di Quarto. Nell’epica battaglia di Calatafimi del 15 maggio, la “Bandiera dei Mille” (come fu subito ribattezzata) fu difesa strenuamente dal prode Simone Schiaffino (un capitano di lungo corso della Marina genovese, nato a Camogli nel 1835), il quale cadde eroicamente sull’altura detta “il Pianto dei Romano”, trafitto dai numerosi colpi di fucile, nel vano tentativo di sottrarla ai Cacciatori napoletani che l’avevano conquistata. L’ultimo viaggio che Garibaldi effettuò al comando della Carmen ebbe inizio proprio da Valparaiso alla volta di Boston, in America del Nord, ove il mercantile giunse verso la fine del 1852. Trasferita l’imbarcazione a New York, in seguito ad alcune incomprensioni sorte con l’armatore Denegri, il capitano Garibaldi decise di lasciare il comando della barca. Con il denaro guadagnato in Sud America e con una piccola eredità realizzata a Nizza, l'”eroe dei due mondi” ritornò a Genova il 10 maggio 1854. Mutando spesso navi ed armatori, Garibaldi continuò a sfidare il mare per molti anni ancora; ciò fino al febbraio 1859, data della sua partenza da Caprera per i nuovi cimenti di guerra che tutti conosciamo.
Nel 1872, circa venti anni dopo aver lasciato l’America Latina, L’Unione Italiana di Valparaiso, appena istituita, volle conferire l’incarico di primo Presidente Onorario proprio al Generale Garibaldi. Il grande condottiero, com’era sua abitudine, ripose con un’accordata e patriottica lettera, che concluse con la seguente frase: “Accetto con gratitudine il titolo, ricordando con affetto la gentile accoglienza dei concittadini Valparaiso”.
La notte tra il 18 e il 19 agosto 1860 Giuseppe Garibaldi e circa 3200/3500 Camicie Rosse, a distribuiti a bordo dei piroscafi Torino e Franklin, salpò da
Giardini Naxos seguendo una rotta di attraversamento dello stretto più lunga ed indiretta al fine di eludere il pattugliamento della flotta borbonica.
Garibaldi era imbarcato sul Franklin con 1200 uomini, mentre Nino Bixio con circa 3000 uomini era imbarcato sul piroscafo Torino.
I due piroscafi vennero intercettati da due fregate borboniche, ma non furono attaccate perché Garibaldi diede ordine di issare la bandiera americana.
Note
Le navi della Marina Dittatoriale Siciliana, incorporate poi nella Marina Sarda e successivamente nella Regia Marina erano:
– pirofregata Tukert;
– pirotrasporto Washington;
– nave Lombardo;
– avviso Ferruccio;
– avviso Calatafimi;
– nave Vittoria;
– nave Cambria;
– nave Conte di Cavour;
– nave Tanaro;
– nave Oregon;
– nave Beniamino Franklin;
– nave Rosolino Pilo;
– nave Plebiscito;
– nave Benvenuto;
– nave Elba;
– nave Duca di Calbria;
– piroscafi Weasel.